Vivere “in tempo reale” nel mondo digitale aumenta inevitabilmente le aspettative che riponiamo nella facoltà di spostamento all’interno della nostra città, sia essa una metropoli oppure un borgo medievale arroccato in cima a una collina.
La città dei 15 minuti è un modello urbano che punta a concentrare i servizi essenziali (lavoro, negozi, scuole, parchi) in ogni quartiere, rendendoli raggiungibili a piedi o in bicicletta in massimo 15 minuti. Non si tratta di certo di un’utopia, spesso però i limiti fisici intrinseci di alcune parti di città, oppure l’identità stessa di alcuni luoghi, rendono questa tattica di progettazione un modello cui aspirare più che una formula replicabile in qualsivoglia contesto.
Oltre questo limite però attende di essere colta l’opportunità di intervento più grande: la percezione dello spazio in divenire. Assumendo in partenza la città come un sistema di relazioni, un approccio realmente innovativo punterebbe sulla qualità dei percorsi: consequenzialità, stimoli visivi e interattivi, trattamento delle superfici consono ai flussi di spostamento già in essere; consentirebbero una sorta di “corrimano” che asseconda e arricchisce l’esperienza urbana.
Posta in questi termini, è chiaro che la sfida urbanistica si gioca con la carta temporale più che spaziale. Siamo ora maggiormente consci che è il tempo il vero luogo da abitare e che distribuirlo in maniera capillare con percorsi di azione e relazione permette di evitare i nuovi crateri urbani: grandi isole vuote, compartimenti stagni che precludono l'interazione umana con la città.
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